domenica 21 dicembre 2008

La fine del lavoro


Il titolo completo del libro è: "La fine del lavoro, il declino della forza lavoro globale e l'avvento dell'era post-mercato", ed è stato pubblicato in Italia nel 1995 da Baldini &Castoldi, oltre che da Oscar Mondadori nel 2002.

Il libro è scritto in modo molto chiaro e scorrevole, e la lettura non è mai eccessivamente impegnativa, nonostante la "pesantezza" del tema trattato. L'analisi dell'autore verte soprattutto sulla società americana, ma è chiaramente valida per la società occidentale nel suo complesso.

L'autore ripercorre la storia del lavoro dalla società preindustriale a quella odierna: prima delle rivoluzioni industriale il 90% dei lavoratori era addetto nell'agricoltura.
Nella prima rivoluzione industriale grandi masse di lavoratori lasciano l'agricoltura per andare ad operare nelle fabbriche. Attualmente solo il 3% della popolazione statunitense si occupa di agricoltura, ma grazie alle macchine agricole e ai fertilizzanti chimici, la domanda è ampiamente soddisfatta dalla copiosa produzione.
Nella seconda rivoluzione industriale, le macchine e l'automazione prendono il posto dell'uomo nell'industria manufatturiera, e le masse di lavoratori lasciano le fabbriche per spostarsi nel terziario ed adottare il computer come strumento di lavoro.
Ora siamo nel corso di una terza rivoluzione industriale, nella quale l'incredibile progressione della potenza di calcolo dei moderni elaboratori pone in esubero un crescente numero di lavoratori.
A seguito di questo, la realtà che l'autore vuole evidenziare è che le masse di lavoratori che escono dal terziario, entrano a far parte del mondo della disoccupazione. Il caso più emblematico, perché in un certo senso avanguardistico, è il modello produttivo della Toyota della lean production, sviluppato intorno agli anni '70. Nella lean production le autovetture sono costruite da sofisticati robot guidati da un numero limitato di tecnici con elevata specializzazione. Per passare dalla produzione di un modello ad un altro è sufficiente riprogrammare le macchine produttive attraverso i tecnici. La richiesta di lavoratori specializzati pone anche il problema di avere pochi lavoratori sovraccarichi di lavoro, e molti altri disoccupati o sottoccupati.
Con "fine del lavoro" Rifkin intende si riferirsi alla fine di un lavoro regolarizzato, con tutti i benefici e soprattutto le garanzie a cui eravamo abituati. Alcuni mestieri, poi, sono destinati a scomparire. E' toccato per primi agli agricoltori, poi agli operai. Ma anche commessi, segretarie, impiegati di banca, quadri e dirigenti di medio livello sono, secondo l'autore, in via d'estinzione.
In un'intervista rilasciata al Corriere della Sera (12 dicembre 1997) egli preconizza che: «Il mondo si polarizzerà in due forze difficilmente conciliabili. Da una parte un'élite di tecnocrati, dall'altra una massa crescente di disoccupati, per altro visibile, visto che oggi i senza lavoro sono già un miliardo. In mezzo la fetta più grossa, formata da sottoccupati e lavoratori part-time».
«All'interno di questa rivoluzione tecnologica vedo buone prospettive per chi lavora o intende lavorare nel settore della conoscenza (Rifkin lo chiama "Knowledge sector"). Ma i posti offerti da quest'area saranno infinitamente minori rispetto a quelli espulsi dai settori manifatturiero e dei servizi». «lo scenario del lavoro si prospetta con: un mercato nutrito da lavoratori d'élite; la Pubblica Amministrazione con sempre meno colletti bianchi; il Terzo settore con ruolo di soggetto politico; la criminalità organizzata, che in molti Paesi rappresenta ormai il più grande produttore di lavoro, come maggior datore di lavoro».
Nella parte finale del libro, l'autore pone fine alla sua analisi complessivamente pessimistica, per suggerire possibili soluzioni al crescente rischio di disoccupazione di massa. In primo luogo è auspicabile una crescente riduzione degli orari di lavoro, così da creare nuovi posti, e sfruttare così in modo positivo la enorme produttività dei macchinari d'oggi, emancipando in parte l'uomo dalle fatiche lavorative. Oltre a questo l'autore prospetta una riconsiderazione della globalizzazione dell'economia, e la rivalutazione del terzo settore, ovvero il no-profit applicato ai servizi di utilità sociale. Parte di queste tematiche saranno anche sviluppate in opere successive, come "L'era dell'accesso" e "Il sogno europeo".

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