lunedì 22 dicembre 2008

L'era dell'accesso



"L'era dell'accesso, la rivoluzione della new economy" è stato scritto da Rifkin nel 2000, e stampato in Italia nello stesso anno da Oscar Mondadori.


La tesi centrale del libro, sempre ben argomentata dall'autore, è che il mercato, elemento basilare e pervasivo della nostra vita non solo economica, ma anche sociale, stia lasciando sempre più lo spazio ad una economia delle reti, dove le transazioni commerciali non avvengono tra venditore e compratore, ma tra fornitore e utente.
L'era dell'accesso è appunto questo cambiamento che prevede il passaggio da un'economia dominata dal mercato e dai concetti di bene e proprietà, verso un'economia dominata da valori come la cultura, l'informazione e le relazioni. E', secondo l'autore, l'ultimo stadio del capitalismo: i beni materiali sono stati già tutti mercificati, ora è la volta delle esperienze, delle emozioni, e delle relazioni umane.
Questo non significa che, nell'era dell'accesso prossima ventura, la proprietà privata sia destinata a scomparire. Piuttosto, è vero il contrario: continuerà a esistere, ma è molto improbabile che continui a essere scambiata su un mercato. Nella new economy, il fornitore mantiene la proprietà di un bene, che noleggia o affitta o è disposto a cedere in uso temporaneo a fronte del pagamento di una tariffa, di un abbonamento, di una tassa d'iscrizione. Lo scambio di proprietà fra compratori e venditori - l'aspetto più importante del moderno sistema di mercato - cede il passo a un accesso temporaneo che viene negoziato fra client e server operanti in una relazione di rete. Il mercato sopravvive, ma è destinato a giocare un ruolo sempre meno rilevante nelle attività umane. E questo è già di per sè rilevante: non solo le nostre strutture politiche si sono sviluppate parallelamente all'affermarsi del concetto di proprietà inalienabile e di libero mercato, ma anche il concetto stesso di proprietà è diventato in un certo senso consustanziale all'uomo moderno: ciò che possediamo riflette la nostra identità e il nostro modo di essere.
In questo nuovo panorama il concetto di proprietà perde significato, diventa fondamentale per l'uomo avere accesso a delle reti o non esserne escluso. Rifkin analizza il comportamento di alcune delle più grandi aziende del mondo (tra le quali Nike, McDonald's, Sony, Chrysler, Microsoft) nei vari settori del mercato, e arriva a dimostrare che quest'era dell'accesso non è una semplice ipotesi futurologica ma qualcosa che ha gia avuto inizio: le grandi aziende capitaliste tendono a segmentare il mercato, puntano verso un controllo totale dei clienti offrendo loro soluzioni sempre più personalizzate e creando dei veri e propri rapporti definiti lifetime ossia per tutta la vita in cui la logica compratore-venditore cede il posto a quella fornitore-cliente.

Tutto, sempre più, viene offerto come servizio, dato in uso, in affitto: non conviene acquistare, possedere, ma utilizzare, per il periodo necessario, ciò che è da altri posto in rete: spesso il "bene" è addirittura regalato perché non è da quello che viene ricchezza, ma dai servizi a quello collegato. Quindi sempre maggiore sarà la concentrazione di chi può offrire tutta una serie di servizi, e ancor più, di conoscenze. La cultura infatti è la più preziosa delle merci: l'intelligenza, le idee sono le prime a essere "affittate", subordinate al commercio, alla redditività e alla richiesta del nuovo mercato.

La nuova età vede cingere l'individuo in una ragnatela che avvolge completamente l'esperienza umana, riducendone ogni momento a merce. L'intera sfera culturale rischia di venire fagocitata da quella economica: la diffusione di centri commerciali, di percorsi turistici personalizzati stanno ad identificare un tentativo di pianificare anche il mondo della vita quotidiana. "La cultura dovrebbe essere un'esperienza condivisa: il ritrovarsi attorno a valori comuni. La produzione culturale, invece, consiste nella frammentazione della cultura in brani e brandelli, allo scopo di farla propria e trasformarla in intrattenimento personale a pagamento" (pp. 214-215).
L'autore introduce inoltre i concetti di gateways (portali di accesso) e gatekeeper (i guardiani dell'accesso), figure destinate a acquistare sempre più potere nel prossimo futuro perché potranno decidere sull'esclusione o l'accesso alla rete, oltre che su cosa la rete potrà trasmettere e cosa no. Importante è anche la riflessione dell'autore riguardo al sempre più grande divario socio-economico che si creerà tra chi ha accesso (ossia il 20% della popolazione mondiale) e chi ancora deve preoccuparsi di sopravvivere.

Altra questione di rilevante importanza è il pericolo della dematerializzazione e la conseguente crisi di identità che il cyberspazio potrà causare. Con internet e gli spazi virtuali creati dall'uomo, il pericolo è proprio quello di un completo abbandono della realtà e dello spazio vitale e culturale di ogni individuo.
Nella New economy il tempo tende a dominare sullo spazio, l'unità di misura della vita diventa il secondo, e lo spazio geografico diventa irrilevante. Proprio per questo motivo è importante riorganizzare la scuola riservando particolare attenzione alla civil education e all'etica del gioco, per non creare in futuro una società virtuale fantasma incapace di comunicare emozioni e provare empatia.


Come in molti libri di Rifkin, e forse in questo soprattutto, mi pare di trovare un intento provocatorio. La sua analisi, sempre ben argomentata è proiettata soprattutto verso il futuro, quasi in una proiezione distopica dei processi socio-economici in atto. Non certo un libro di rigorosa analisi storica, quindi, ma sicuramente un valido strumento per vivere meglio e con maggiore consapevolezza nell'era di internet e della New Economy.

Intervista a Jeremy Rifkin

Come annunciato, riporto il link dell'intervista rilasciata alla RAI da Jeremy Rifkin, il 15/10/1998, riguardo al suo libro "Il Secolo Biotech".

http://www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/r/rifkin.htm

Il Secolo Biotech


Il secolo biotech. Il commercio genetico e l'inizio di una nuova era” è stato pubblicato in Italia, da Baldini&Castaldi, nel 1998. Il tema centrale del libro è come la nascente industria biogenetica si sta organizzando, e come in futuro potrebbe influenzare le nostre vite.

Per 40 anni due tecnologie d’avanguardia si sono sviluppate parallelamente: l’informatica e l’ingegneria genetica, la scienza dell’informazione e le scienze naturali. Ora i computer e i geni “si stanno unendo”, per gettare le fondamenta di un’era completamente nuova nella storia mondiale. I grandi cambiamenti economici si verificano nella storia quando un certo numero di forze tecnologiche e sociali si mettono insieme per creare una nuova "matrice operativa". Secondo Rifkin sono sette i filoni che compongono la matrice operativa del Secolo Biotech. Insieme, essi creano una rete funzionale per la nuova era economica. Primo: l'abilità di isolare, identificare e ricombinare i geni rende per la prima volta disponibile un fondo comune di geni come risorsa di materie prime per la futura attività economica. Secondo: la concessione di brevetti su geni, sequenze geniche, tessuti da ingegneria genetica, organi ed organismi, insieme ai procedimenti usati per alterarli, sta dando al mercato l'incentivo commerciale per sfruttare le nuove risorse. Terzo: la globalizzazione del commercio e degli affari rende possibile una riseminazione massiccia della biosfera terrestre con una Seconda Genesi concepita in laboratorio, una natura bioindustriale prodotta artificialmente e destinata a rimpiazzare lo schema evolutivo della natura stessa. Un'industria globale della scienza della vita ha già iniziato a esercitare un potere senza precedenti sulle vaste risorse biologiche del pianeta. Settori della scienza della vita, dall'agricoltura alla medicina, vengono concentrati sotto l'ombrello di gigantesche "compagnie della vita" nell'emergente mercato biotech. Quarto: il censimento in corso (in corso mentre l'autore scriveva il libro, oggi completato) dei circa 100000 geni che compongono il genoma umano e nuove scoperte nella schedatura genetica, con l'inclusione di Chips DNA, di terapia somatica del gene e l'imminente prospettiva di ingegneria genetica di ovuli umani, sperma e cellule embrioniche, stanno aprendo la strada ad una omnicomprensiva alterazione della specie umana e alla nascita di una civiltà eugenetica sotto impulso commerciale. Quinto: una serie di nuovi studi scientifici sull'origine genetica degli umani comportamenti e la nuova sociobiologia, che privilegia la natura sull'accrezione educativa, forniscono un contesto culturale ad una estesa accettazione delle nuove biotecnologie. Sesto: il computer sta fornendo i media organizzativi e comunicativi per l'informazione genetica che è alla base dell'economia biotech. In ogni parte del mondo i ricercatori stanno usando i computer per decifrare, scaricare, catalogare e organizzare l'informazione genetica con la costituzione di una nuova riserva di capitale genetico ad uso dell'era bioindustriale. Tecnologie computerizzate e genetiche si stanno integrando in una nuova e possente realtà tecnologica. Settimo: una nuova narrazione cosmologica dell'evoluzione incomincia a sfidare la cittadella neo-darwiniana con una visione della natura compatibile con i presupposti operativi delle nuove tecnologie e della nuova economia globalizzata. Queste nuove idee sulla natura permettono la legittimazione contestuale del Secolo Biotech con l'assunto che il metodo seguito per riorganizzare economia e società è semplicemente l'estensione dei principi stessi della natura ed è, in quanto tale, giustificabile. Questo composito, geni, biotecnologie, brevetti sulla vita, industria globale di scienza della vita, schedatura e chirurgia dei geni umani, nuove correnti culturali, computer e revisione delle teorie sull'evoluzione, ha incominciato a rifare il mondo.

I geni sono "oro verde" del Secolo Biotech. Le forze economiche e politiche che controllano le risorse genetiche del pianeta eserciteranno un potere immane sul futuro dell'economia mondiale, così come l'accesso dell'era industriale e il controllo sulle energie fossili e su i metalli pregiati contribuirono a determinare il dominio sui mercati mondiali. Le corporazioni multinazionali stanno operando ricognizioni nei continenti, nella speranza di trovare microbi, piante, animali ed esseri umani con tratti genetici rari che possano avere in futuro potenziali valori di mercato. Dopo avere individuato questi tratti desiderati, le compagnie biotecniche li stanno già modificando per poi perseguire la protezione di brevetti sulle loro nuove "invenzioni".
Un crescente numero di organizzazioni non governative, insieme ad alcuni paesi hanno incominciato ad assumere una forte presa di posizione, sostenendo che il pool genetico non dovrebbe essere messo sul mercato a qualsiasi prezzo, e che esso dovrebbe rimanere un patrimonio comune e continuare ad essere usato liberamente dalle generazioni presenti e future. Essi citano un precedente nella recente storica decisione delle nazioni del mondo di mantenere il continente Antartico come patrimonio globale comune libero dallo sfruttamento commerciale.
Rifkin cita vari esempi inquietanti di tentativi, riusciti o meno, di brevettare geni, spesso all’insaputa degli individui da cui erano stati isolati. Le straordinarie implicazioni della privatizzazione del corpo umano - metterlo in distribuzione sotto forma di proprietà intellettuale tra istituzioni commerciali - sono state illustrate in maniera paradigmatica dal caso di un brevetto concesso dall'Ufficio Europeo per le Patenti a una compagnia statunitense di nome Biocyte. Il brevetto ha riconosciuto alla compagnia la proprietà di tutte le cellule sanguigne provenienti dal cordone ombelicale di un neonato, poi usate per molteplici fini terapeutici. Il brevetto è così esteso da permettere a questa compagnia di impedire l'uso di qualsiasi cellula sanguigna estratta da cordone ombelicale a qualsiasi individuo o istituzione che non voglia pagare i diritti del brevetto. Le cellule sanguigne da cordone ombelicale sono particolarmente importanti per i trapianti di midollo osseo e per tanto costituiscono un investimento commerciale altamente remunerativo. Va sottolineato che questo brevetto era stato concesso semplicemente perchè la Biocyte era stata capace di isolare e congelare le cellule sanguigne. La compagnia non aveva introdotto alcun cambiamento nel sangue stesso. Eppure, ora la compagnia dispone del controllo commerciale su questa parte del corpo umano.
La corsa imprenditoriale alla brevettazione del genoma della famiglia umana ha registrato una notevole accelerazione negli ultimi anni, in gran parte per via dell'elevato ritmo nella schedatura e nella determinazione delle sequenze di circa 100.000 geni che compongono il genoma umano. Non appena un gene viene etichettato, il suo "scopritore" molto probabilmente cercherà un brevetto, e spesso prima ancora di conoscere la funzione o il ruolo di quel gene.
Il dibattito sulla brevettazione della vita è una delle questioni più importanti mai affrontate dalla famiglia dell'uomo. La brevettazione della vita colpisce nel più profondo le nostre convinzioni sulla natura stessa della vita, se essa debba essere concepita come qualcosa di valore intrinseco o puramente utilitaristico. L'ultimo grande dibattito di questo tipo si svolse nel diciannovesimo secolo sulla questione della schiavitù, con gli abolizionisti che sostenevano come la vita umana avesse un valore intrinseco e "diritti dati da Dio" e non potesse essere trasformata in proprietà commerciale e personale da parte di un altro essere umano. Ma cosa potrà mai significare per le generazioni a venire crescere in un mondo dove arriveranno a concepire tutta la vita come invenzione pura e semplice - dove i confini tra sacro e profano, tra valore intrinseco e valore utilitaristico siano del tutto scomparsi, riducendo la vita stessa a livello di oggetto, privo di qualsiasi qualità unica o essenziale che lo possa distinguere da una struttura basilarmente meccanica? La battaglia per preservare il pool genetico terrestre come aperta dimensione comunitaria, libera da sfruttamenti commerciali, diventerà una delle lotte più critiche dell'Era Biotech. I "diritti genetici", a loro volta, emergeranno probabilmente come la questione fondativa dell'era imminente, definendo così gran parte dell'agenda politica del Secolo Biotech.
Rifkin ci avverte inoltre che con l’avvento dell’era biotech si avrà un modo radicalmente nuovo di concepire la vita, con un'immagine della natura che ci viene fornita tramite computer, usando il linguaggio della fisica, della chimica, della matematica e delle scienze dell'informazione. Con gli organismi viventi, esattamente come con i computer, il potere dell'informazione e i limiti di tempo diventano le considerazioni principali. Ogni successiva generazione della crescente catena dell'evoluzione, proprio come ogni nuova generazione di computer, è più complessa e più abile nell'elaborare crescenti quantità di informazioni in periodi di tempo più brevi. Riducendo la struttura alla sua funzione, e la funzione a un flusso di informazioni, la nuova cosmologia non percepisce più le cose viventi come cani e gatti, pesci e uccelli, peschi e mandorli, ma come grovigli di informazioni genetiche. Tutti gli esseri vengono prosciugati della loro sostanza e trasformati in messaggi astratti. La vita diventa un codice da decifrare e, come potrebbe ogni cosa vivente essere considerata sacra quando è solo un modo di organizzare le informazioni?
Ma il libro apre a riflessioni su molte altre questioni: la clonazione umana, il problema del cosiddetto “inquinamento genetico”, i rischi di discriminazione su base genetica. Per questi rimando all’intervista, rilasciata dall'autore il 15/10/2008 che riporterò sul blog prossimamente.

domenica 21 dicembre 2008

La fine del lavoro


Il titolo completo del libro è: "La fine del lavoro, il declino della forza lavoro globale e l'avvento dell'era post-mercato", ed è stato pubblicato in Italia nel 1995 da Baldini &Castoldi, oltre che da Oscar Mondadori nel 2002.

Il libro è scritto in modo molto chiaro e scorrevole, e la lettura non è mai eccessivamente impegnativa, nonostante la "pesantezza" del tema trattato. L'analisi dell'autore verte soprattutto sulla società americana, ma è chiaramente valida per la società occidentale nel suo complesso.

L'autore ripercorre la storia del lavoro dalla società preindustriale a quella odierna: prima delle rivoluzioni industriale il 90% dei lavoratori era addetto nell'agricoltura.
Nella prima rivoluzione industriale grandi masse di lavoratori lasciano l'agricoltura per andare ad operare nelle fabbriche. Attualmente solo il 3% della popolazione statunitense si occupa di agricoltura, ma grazie alle macchine agricole e ai fertilizzanti chimici, la domanda è ampiamente soddisfatta dalla copiosa produzione.
Nella seconda rivoluzione industriale, le macchine e l'automazione prendono il posto dell'uomo nell'industria manufatturiera, e le masse di lavoratori lasciano le fabbriche per spostarsi nel terziario ed adottare il computer come strumento di lavoro.
Ora siamo nel corso di una terza rivoluzione industriale, nella quale l'incredibile progressione della potenza di calcolo dei moderni elaboratori pone in esubero un crescente numero di lavoratori.
A seguito di questo, la realtà che l'autore vuole evidenziare è che le masse di lavoratori che escono dal terziario, entrano a far parte del mondo della disoccupazione. Il caso più emblematico, perché in un certo senso avanguardistico, è il modello produttivo della Toyota della lean production, sviluppato intorno agli anni '70. Nella lean production le autovetture sono costruite da sofisticati robot guidati da un numero limitato di tecnici con elevata specializzazione. Per passare dalla produzione di un modello ad un altro è sufficiente riprogrammare le macchine produttive attraverso i tecnici. La richiesta di lavoratori specializzati pone anche il problema di avere pochi lavoratori sovraccarichi di lavoro, e molti altri disoccupati o sottoccupati.
Con "fine del lavoro" Rifkin intende si riferirsi alla fine di un lavoro regolarizzato, con tutti i benefici e soprattutto le garanzie a cui eravamo abituati. Alcuni mestieri, poi, sono destinati a scomparire. E' toccato per primi agli agricoltori, poi agli operai. Ma anche commessi, segretarie, impiegati di banca, quadri e dirigenti di medio livello sono, secondo l'autore, in via d'estinzione.
In un'intervista rilasciata al Corriere della Sera (12 dicembre 1997) egli preconizza che: «Il mondo si polarizzerà in due forze difficilmente conciliabili. Da una parte un'élite di tecnocrati, dall'altra una massa crescente di disoccupati, per altro visibile, visto che oggi i senza lavoro sono già un miliardo. In mezzo la fetta più grossa, formata da sottoccupati e lavoratori part-time».
«All'interno di questa rivoluzione tecnologica vedo buone prospettive per chi lavora o intende lavorare nel settore della conoscenza (Rifkin lo chiama "Knowledge sector"). Ma i posti offerti da quest'area saranno infinitamente minori rispetto a quelli espulsi dai settori manifatturiero e dei servizi». «lo scenario del lavoro si prospetta con: un mercato nutrito da lavoratori d'élite; la Pubblica Amministrazione con sempre meno colletti bianchi; il Terzo settore con ruolo di soggetto politico; la criminalità organizzata, che in molti Paesi rappresenta ormai il più grande produttore di lavoro, come maggior datore di lavoro».
Nella parte finale del libro, l'autore pone fine alla sua analisi complessivamente pessimistica, per suggerire possibili soluzioni al crescente rischio di disoccupazione di massa. In primo luogo è auspicabile una crescente riduzione degli orari di lavoro, così da creare nuovi posti, e sfruttare così in modo positivo la enorme produttività dei macchinari d'oggi, emancipando in parte l'uomo dalle fatiche lavorative. Oltre a questo l'autore prospetta una riconsiderazione della globalizzazione dell'economia, e la rivalutazione del terzo settore, ovvero il no-profit applicato ai servizi di utilità sociale. Parte di queste tematiche saranno anche sviluppate in opere successive, come "L'era dell'accesso" e "Il sogno europeo".

giovedì 18 dicembre 2008

Cenni biografici

Jeremy Rifkin è un economista e uno scrittore statunitense. E' laureato in economia alla Wharton School dell'Università della Pennsylvania e in affari internazionali alla Fletcher School of law and diplomacy della Tufts University. Militante del movimento pacifista, fonda nel 1969 la Citizen Commission, un'associazione che voleva portare alla luce i crimini di guerra degli Usa durante il conflitto in Vietnam. Fin dagli anni '70 si occupa di globalizzazione e nuove tecnologie. È presidente della Foundation on economic trends di Washington, della Greenhouse Crisis Foundation e insegna alla Wharton School of finance and commerce. Il suo coinvolgimento come attivista del movimento pacifista ed ambientalista lo ha visto spesso impegnato negli Stati Uniti, anche politicamente, a sostegno dell'adozione di politiche governative "responsabili" in diversi ambiti sia relativi all'ambiente che alla scienza ed alla tecnologia; tale impegno pubblico è riflesso in numerosi dei suoi saggi e lavori. Fra i suoi libri tradotti in italiano: "La fine del lavoro" (1995), "Il secolo biotech" (1998), e, per Mondadori, "Entropia" (1982), "L'era dell'accesso" (2000), "Ecocidio" (2001), "Economia all'idrogeno" (2002) e "Il sogno europeo" (2004). In aggiunta al suo impegno negli Stati Uniti, Rifkin è stato attivo anche in Europa come consigliere di alcuni statisti e capi di governo ed, in particolare, ha operato come consigliere personale sulle questioni energetiche di Romano Prodi, all'epoca Presidente della Commissione Europea.

In questo blog intendo analizzare alcune delle sue principali opere, cercando anche di stimolare un dialogo con altri utenti del web, interessati alle tematiche trattate dall'autore.